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Audizione di Mario Staderini alla Commissione affari costituzionali del Senato sui progetti di legge recanti norme per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione (partiti e metodo democratico). 17 marzo 2016

Audizione di Mario Staderini alla Commissione affari costituzionali del Senato sui progetti di legge recanti norme per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione (partiti e metodo democratico). 17 marzo 2016

Grazie Presidente,

faccio tesoro degli interventi degli autorevoli professori che mi hanno preceduto per onorare l’invito della Commissione con un contributo che parte dalla mia esperienza personale, ovvero di chi ha vissuto in un’area politico-culturale, quella del Partito radicale, di Marco Pannella in particolare, che sulla libertà di associazione, sul ruolo dei partiti, sull’articolo 49 della Costituzione, ha accompagnato l’elaborazione teorica con una pratica artigiana.

È con questo punto di vista che ho letto i progetti di legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, tutti accomunati da una tendenza, una spinta, non so quanto consapevole, verso l’istituzionalizzazione dei partiti, una tendenza già in atto da alcuni anni.

A partire dal 2013, infatti, la stratificazione di una serie di leggi ha rimesso i partiti al centro del sistema dopo un ventennio in cui il loro ruolo era arretrato: la nuova legge sul finanziamento dei partiti, che contiene anche i requisiti minimi per l’iscrizione al registro dei partiti; la legge elettorale «Italicum»;  la legge sull’elezione indiretta delle Città metropolitane; adesso questi progetti di legge sull’articolo 49. In tutte queste leggi, il finanziamento della politica come il momento elettorale passano necessariamente ed esclusivamente attraverso il partito, anzi, per la forma di partito tassativamente indicata dalla legge che ne definisce i requisiti.

Una centralità, quella dei partiti, che non trova peraltro fondamento in Costituzione, visto che vengono citati forse uno o due volte nell’intera Carta. E non è un caso: l’articolo 49 è norma costituzionale che pone un diritto di libertà, un diritto individuale dei cittadini. Ad essere tutelati, insomma, sono i cittadini e non i partiti!

Nel mio intervento proverò, tracciando due linee, a proporre alla Commissione di cogliere l’occasione attraverso questi progetti di legge: 1) per fare una scelta di sistema vera ed esplicita rispetto a quella stratificatasi caoticamente negli ultimi due anni; 2) per ridare coerenza al modello.

Nell’Italia repubblicana abbiamo avuto la contrapposizione tra due modelli, tra due concezioni della funzione di partito. Quella che ha prevalso a lungo, direi fino al 1993, ha visto il partito come momento delle istituzioni, cioè come istituzione che contribuisce alla gestione dello Stato con un ruolo diretto, dalle nomine nelle aziende pubbliche fino all’indicazione  degli scrutatori in occasione delle elezioni.

La seconda concezione, rimasta a lungo minoritaria, alla quale appartengo come area culturale, vede come funzione del partito non quella di essere istituzione, ma di essere un tramite dei cittadini verso l’istituzione, cioè di essere uno strumento attraverso il quale si dà espressione collettiva alla volontà dei cittadini. In questo caso, il partito assume nelle leggi una rilevanza pubblica esclusivamente nei momenti in cui incrocia la vita delle istituzioni, cioè i momenti elettorali e referendari, in cui i cittadini possono partecipare e concorrere alla vita politica.

Dal primo modello – per questo vorrei porre all’attenzione della Commissione la questione della coerenza – discende che l’organizzazione interna dei partiti non sia lasciata, se sono istituzioni, all’autonomia totale dei partiti stessi. In questo modello allora, si che sorge l’esigenza di una regolamentazione ferrea delle candidature, delle iscrizioni e di altri aspetti simili. Anche perché i finanziamenti pubblici, come oggi avviene con il 2 per mille, sono dati agli apparati per la vita del partito anziché per rimborsare le spese elettorali.

Il secondo modello, quello più anglosassone, prevede che solamente nel momento elettorale il partito, essendo una libera associazione appartenente alla società civile e non pezzo dello Stato, debba avere una sua regolamentazione. Anche i finanziamenti pubblici sono collegati solo al momento elettorale.
Fino al 1993 è prevalso il primo modello, il partito-istituzione, ma con una grave lacuna: l’assenza di quelle regole necessaria per garantire ai cittadini la democraticità nella vita interna dei partiti.

Da questo cortocircuito originò la valanga referendaria del 1993 che travolse i partiti con due referendum, quello per l’abolizione del finanziamento pubblico e quello per la fine del sistema elettorale proporzionale in favore del collegio uninominale maggioritario. L’indicazione popolare, un vero plebiscito, aveva prodotto un ribaltamento del modello sinora prevalente, mettendo al centro della politica la persona –elettori ed eletti- anziché il partito. Con il collegio uninominale si votava, infatti, il candidato prima ancora che il partito, mentre il partito-apparato non avrebbe più dovuto ricevere finanziamenti.

Ebbene, dopo circa vent’anni in cui il modello di partito indicato dai cittadini nel 1993 è stato in realtà inquinato – dal mantenimento della quota proporzionale nel sistema elettorale cd Mattarellum e dalla riproposizione del finanziamento ai partiti che avessero superato l’1% alle elezioni- si sta tornando a un sistema opposto.

Pur essendo il mio modello preferito quello in cui il partito non è un’istituzione, visto che il Parlamento sta andando nel senso opposto, segnalo alla Commissione che nei progetti di legge sull’art 49 della Costituzione che state esaminando, emerge un’incoerenza del sistema che ne deriverebbe.

Ad esempio, con la legge sul finanziamento ai partiti si lega la contribuzione pubblica all’iscrizione al registro dei partiti che partecipano alle elezioni, ma i soldi pubblici erogati non sono legati al momento elettorale bensì dati direttamente agli apparati partitici.

Quando poi in queste leggi si definisce il metodo democratico che deve caratterizzare la vita interna dei partiti, in realtà lo si affievolisce e a volte lo si nega. Farò alcuni esempi concreti.

Innanzitutto, non si prende mai in considerazione l’altro strumento con cui gli italiani possono concorrere alla vita politica del Paese, ovvero le iniziative popolari e i referendum. In base a queste norme, per potersi definire partito, e quindi avere accesso alle agevolazioni economiche, occorre partecipare alle elezioni. Dunque, per la legge non possono esistere partiti in cui i cittadini si associno non per presentarsi alle elezioni ma per poter concorrere alla vita politica con iniziative popolari e referendum.

Altro rilievo, è quello per cui nella legge relativa ai partiti e all’art 49, non possono essere inserite regole sulla partecipazione alle elezioni, come ad esempio le primarie. Tutto quello che riguarda le liste e la presentazione delle elezioni va inserito nella legge elettorale.

Permangono poi, in questi progetti come nella legge che istituisce il registro dei partiti politici, degli elementi paradossali, allorchè si codificano, proprio in nome del metodo democratico, alcuni aspetti antidemocratici.

Come detto, nel modello partito-istituzione, l’ordinamento in cambio del riconoscimento di questo ruolo al partito non può che garantire i cittadini con ferree regole democratiche interne. Di democrazia pura, a livello proprio – consentitemelo – dell’uno vale uno, ma dell’uno vale uno anche come l’abbiamo vissuto e praticato in Italia da Radicali.

Ad esempio, tra i requisiti che deve avere lo statuto di un partito per essere iscritto al registro, c’è l’indicazione del meccanismo dei probi viri: se il metodo è democratico, come ammettere che un partito possa limitare il diritto dei cittadini a farne parte? In questa maniera si rimette davanti il partito, mentre sappiamo che la Costituzione tutela i cittadini. Se codificate i probi viri, ammettete la possibilità che uno possa essere espulso. Lo dico semplicemente perché io ho vissuto, credo bene, in un partito in cui nessuno può dirmi se posso iscrivermi o meno, basta che paghi in relazione allo statuto, e nessuno può espellermi qualsiasi cosa dica.

Inoltre, non dite nulla sulla doppia tessera, altra questione radicale storica. Io non sono stato ammesso in alcuni partiti perché avevo la tessera radicale. Mi si limita la possibilità di associarmi.
Concludo davvero, presidente, e ringrazio per il tempo concessomi insistendo relativamente al sistema delle elezioni, cioè sulla proposta di legge Guerini che vuole vincolare la partecipazione alle elezioni all’iscrizione nel registro dei partiti politici, quindi al rispetto di quei requisiti che abbiamo detto stringenti perché danno diritto a prendere i soldi.

Attenzione, a parte l’incostituzionalità palese di una tale norma, se ci fossero venti scienziati che due mesi prima della scadenza del termine volessero presentarsi con una lista sulla scienza, non potrebbero farlo. Dirò di più: non avrebbe potuto farlo in questi vent’anni la Lista Pannella, perché non rientra in questi requisiti. Non potrebbe farlo il Movimento 5 Stelle.

Pochi sanno che alle prossime elezioni amministrative a Ortisei si voterà con un sistema nuovo. Erano anni che non si riusciva più a votare, perché i cittadini non andavano più a votare, si erano scocciati. È tutto vero: hanno creato una lista unica che si presenta alle elezioni sopra i partiti, con nessun partito. I cittadini mandano le loro candidature e poi si autoselezionano i candidati. Ha funzionato, e finalmente ci saranno le elezioni a Ortisei, che altrimenti non ci sarebbero state.

Non dico che voglio questi sistemi, ma se il sistema di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica si chiude nel recinto dei partiti, per di più istituzionalizzati, non ci si potrà che attendere una ulteriore involuzione.

 

Resoconto stenografico

Audio video dell’intervento

 

 

 

 

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