Catalogna: il Referendum è illegittimo ma andava concesso. E Rajoy non ha difeso lo stato di diritto
È vero, il Referendum della Catalogna era giuridicamente privo di valore, come stabilito dalla Corte Costituzionale spagnola, e la votazione che si è tenuta ieri non rispetta gli standard internazionali minimi per un referendum. È vero anche che gli indipendentisti Catalani hanno forzato la mano e si sono assunti grossi rischi.
Ciò detto, il Referendum andava (e andrà) “concesso” dallo Stato spagnolo, così come fatto dalla Gran Bretagna alla Scozia e dal Canada al Quebec.
Le maggiori responsabilità, quindi, sono di Rajoy che, invece di evitare il voto attraverso concessioni di autonomia oppure garantire la tenuta di un referendum che garantisse un confronto democratico (e vincerlo), ha scelto cinicamente di criminalizzare due milioni di persone nella speranza di lucrare un suo futuro politico ed elettorale con il resto degli spagnoli.
Vale per la Spagna come per tutte le Costituzioni degli Stati-Nazione ottocenteschi: inutile dire “è vietato perché è vietato”, rivendicando un nazionalismo di serie A (la Spagna) e un nazionalismo di serie B (la Catalogna), la soluzione è sempre Politica, cioè nel dialogo creativo e nella forza del convincimento.
Perché il referendum era illegittimo
Con sentenza n 8475 del 19 luglio 2017, il Tribunal Constitucional ha dichiarato nulla la legge della Catalogna che lo convoca in quanto il parlamento catalano “si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione”, mentre “la legittimità democratica del parlamento della Catalogna non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione“. Il Tribunale ha ritenuto, quindi, passibile di procedimento l’utilizzo di fondi pubblici per la realizzazione del referendum.
Perché le votazioni non sono state democratiche
Ferme restando le responsabilità della repressione del Governo di Madrid, le votazioni che si sono tenute il 1 ottobre in Catalogna non rispondono agli standard democratici perché non è stato possibile garantire la sicurezza del voto, la neutralità del Governo, l’imparzialità della macchina elettorale, la parità di condizioni per chi era contrario all’indipendenza. La votazione ha, quindi, un grande valore simbolico per la partecipazione che c’è stata da parte di milioni di persone, ma i risultati non sono affidabili.
Perché Rajoy non ha difeso lo Stato di diritto
Mandare la Guardia civil a impedire con la forza fisica la tenuta del referendum e colpire i cittadini che andavano a votare, non significa affatto difendere lo Stato di diritto, bensì violarlo! Altrimenti lo “stato di diritto” sarebbe un concetto che piacerebbe solo ai dittatori, o perlomeno a quelli della priorità “legge e ordine”.
Rispetto al principio di Stato di diritto, infatti, era sufficiente la pronuncia del Tribunal Constitucional che rendeva privo di effetti legali il referendum.
È quello che accadde in occasione di un referendum simile che si tenne in Catalogna nel 2014: lo stesso Tribunale lo dichiarò illegittimo, il referendum si tenne ma non avendo valore legale riconosciuto dallo Stato spagnolo la consultazione ebbe un valore esclusivamente simbolico. Vi partecipò il 35,9 % degli aventi diritto ma in quel caso nessuno mandò la Guardia civil contro i cittadini che votavano.
Rajoy doveva limitarsi a denunciare alla magistratura (penale, amministrativa, contabile) le condotte eventualmente contrarie alle leggi, lasciando che fosse la magistratura ad intervenire anziché trasformare il voto in una questione di ordine pubblico. Organizzatori e votanti, peraltro, eran tutti a volto scoperto e identificabili a posteriori.
Se Rajoy ha difeso lo Stato di diritto, allora anche il generale Bava Beccaris lo difese quando nel 1898 prese a cannonate i milanesi che manifestavano per il pane facendone strage!
Perché il referendum andava concesso
Quando una fascia tra il 35% e il 50% della popolazione di una Regione pensa che sia giusto diventare uno Stato indipendente e, anziché prendere le armi, chiede di decidere con un referendum, non gli si può rispondere “il referendum è vietato perché è vietato (dalla Costituzione)”.
Né tantomeno si possono usare gli argomenti per votare no all’indipendenza (non vi conviene, sarete isolati, perderete ricchezza, l’Europa non vi riconoscerà, il Barcellona uscirà dalla Liga e dalla Champions League) per non far tenere il referendum.
Il 1 ottobre, secondo l’impostazione di Rajoy, c’è stata una condotta eversiva contro lo Stato: bene, visto che vi hanno preso parte oltre 2 milioni di persone su 5,5 milioni, o siamo davanti alla più gande disobbedienza civile dai tempi dell’India di Gandhi, oppure il torto è di Rajoy.
Dire a 2 milioni di persone che la loro opinione politica (essere indipendenti) non ha dignità nella Costituzione né strumenti democratici per affermarsi o essere sconfitta, significa trasformare la Costituzione in un nemico e spingerli verso l’insurrezione, sia essa armata o non. I Paesi Baschi insegnano, visto che la fine dell’ETA è coincisa con il riconoscimento di un’autonomia quasi da stato federale.
In casi del genere, lo Stato centrale deve dialogare e arrivare ad un accordo, concedendo di fare il referendum, dettandone le modalità di svolgimento e, eventualmente, vincerlo nel merito. Come accaduto nel caso della Scozia e del Quebec.
Perché al referendum devono votare solo i catalani
Si è sentito spesso l’argomento che, siccome la “secessione” della Catalogna avrebbe effetto su tutti gli spagnoli, allora anche loro dovevano votare. Discorso analogo è stato usato nel caso della Brexit, in cui per alcuni avremmo dovuto votare anche noi europei.
In pratica, sarebbe come dire che il divorzio può essere solo consensuale!
Anche in questo caso, le conseguenze sarebbero aberranti: se prevalesse -come certo- il no degli spagnoli ma il sì dei catalani, che dovrebbero fare quelli del sì, la guerra per liberarsi?!
Perché al referendum non deve essere previsto un quorum
Altri hanno detto che il referendum catalano non era credibile perché non c’era un quorum.
Attenzione: il quorum di partecipazione esiste praticamente solo in Italia, ed è stato accertato da dottrina e istituzioni internazionali che la presenza del quorum è antidemocratica!
Leggasi il Codice di buona condotta in materia di referendum elaborato dalla Commissione di Venezia e fatto proprio dal Consiglio d’Europa.
La pratica ha dimostrato, poi, che quando non c’è quorum la partecipazione è sempre più alta, basti pensare in Italia ai referendum per le revisioni costituzionali, privo di quorum.
Quindi, non c’è alternativa ai referendum?
La Costituzione spagnola – a differenza di quella italiana- prevede in linea teorica la possibilità di superare anche l’indissolubilità della Spagna attraverso il procedimento di revisione costituzionale. Solo che questo procedimento è, nei fatti, irrealizzabile per questioni controverse come questa: servono due votazioni con la maggioranza dei due terzi del parlamento di Madrid, una nuova doppia votazione da parte del parlamento successivamente eletto, e infine referendum popolare nazionale di ratifica.
In assenza di aperture da parte dello Stato spagnolo, dunque, agli indipendentisti non rimane che l’insurrezione armata o la disobbedienza civile alla Costituzione spagnola.
Finita l’era Zapatero, la linea di chiusura del governo conservatore di Madrid ha portato i catalani favorevoli all’indipendenza dal 13% a più del 40%.
È interesse quindi dello Stato centrale aprire un serio dialogo e, se necessario, cercare di vincere con il consenso e non con l’autoritarismo.
Le spinte indipendentiste non sono solo in Spagna. Cosa bisogna fare?
Tutte le costituzioni del mondo basate sull’ideologia degli Stati-Nazione, eccetto quella del Leichstein, non prevedono che si possa intervenire per limitare la sovranità dello Stato né la sua integrità territoriale. Ogni azione, anche “non-violenta”, contraria a questi due principi finisce per essere vissuta come un attacco allo Stato.
La reazione violenta verso chi, in fondo, porta avanti una idea politica attraverso gli strumenti che gli vengono concessi, abbiamo visto in questi giorni che non funziona e non conviene (lo dicono anche quelli per cui è comunque giusta).
Occorre quindi superare non solo il nazionalismo, ma anche il sovranismo, il ritenere la “sovranità assoluta di uno stato” un principio irrinunciabile per potersi sentire padroni, e forse anche al sicuro (citando il mio amico Marco Perduca).
E ripensarli significa andare in una logica federalista ad ogni livello, riducendo la sovranità dello Stato al minimo indispensabile