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Referendum costituzionale: perché quel titolo è una furbata e la colpa è di Grasso e Boldrini

Referendum costituzionale: perché quel titolo è una furbata e la colpa è di Grasso e Boldrini

In questi giorni di polemiche sul testo della scheda per votare al referendum costituzionale, provo a fare chiarezza.

Allora, questo è il testo su cui gli italiani si troveranno a dire si o no.
«Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titoo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».

Hanno ragione quelli che dicono che questo titolo è fuorviante, uno spot per il si, perché induce a ritenere che l’oggetto della riforma sia diverso da quello che effettivamente è. La Riforma del 35% della Costituzione viene semplificata come una mera legge anticasta che taglia i costi della politica.

Hanno ragione però pure quelli che dicono che si tratta del titolo della legge: la legge 352 del 1970, in effetti, prevede che nella scheda referendaria si metta il titolo della legge.

Hanno ragione, infine, quelli che chiariscono che il titolo alla riforma costituzionale sia stato scelto apposta perché si sapeva che sarebbe diventato poi il testo della scheda referendaria. Una furbata degli uomini di Renzi -tra gli addetti ai lavori è cosa nota e risaputa, addirittura rivendicata- funzionale alla propaganda per il si.

Hanno ragione anche quelli che dicono a Brunetta che poteva emendare il titolo in Parlamento, visto che in prima lettura anche Forza Italia l’ha votato. Ma hanno ragione solo con Brunetta, non con gli altri parlamentari ma soprattutto con noi cittadini, che nessun modo abbiamo avuto per incidere sul titolo furbesco.

Ma allora, chi è che ha torto?
Di sicuro i Presidenti di Camera e Senato.
Infatti sarebbero dovuti intervenire loro, sin dall’inizio dei lavori, per dire che quel titolo del disegno di legge andava cambiato, che non era ammissibile perché non rispettava i principi di unicità e sistematicità del testo. Questo e’ il mestiere di chi presiede le Camere, non solo dare e togliere la parola. Ad esempio, se si facesse una legge che riforma tutto il sistema del welfare, compreso allungamento del tempo per andare in pensione, non sarebbe possibile chiamarla “nuove agevolazioni per disabili e taglio dei costi del welfare”.

E la Cassazione, perché ha dato il via libera? Perché aveva le mani legate, in quanto la legge 352/1970 prevede un automatismo, ovvero che il titolo della legge diventi il testo della scheda di voto.

Morale: si voterà con un titolo fuorviante, che non aiuterà certo ad assicurare la libertà di voto dei cittadini. Ne tantomeno lo scontro politico, offrendo ulteriori elementi di polemiche anziché di confronto.

Che fare?
Ingoiare l’ennesimo vulnus ai diritti politici, oppure chiedere giustizia.
È questo che farò nei prossimi giorni insieme a Riccardo Magi e Fulco Lanchester, davanti al giudice amministrativo. Di fronte al giudice ordinario lo abbiamo già fatto sostenendo il ricorso predisposto dall’avvocato Felice Besostri, decisione a ottobre.
Alla fine si dovrà votare per il si o per il no, certo. Ma sul modo in cui arriveremo a dirlo, vale ancora di giocare la partita fino all’ultimo.
Stay tuned

NOTA
Anno 2001, referendum costituzionale per la riforma del titolo V, sulla scheda gli elettori trovano questo testo.
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001?”

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© Mario Staderini by [zu']

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