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Referendum, la controriforma Boschi

La riforma costituzionale Renzi-Boschi è un requiem per il referendum abrogativo. Gli ostacoli che nel corso degli anni lo hanno di fatto reso impraticabile, a partire dal quorum elevato e dalle procedure borboniche di raccolta firme, si aggravano anziché essere rimossi.

Introdurre una parziale riduzione del quorum per chi raccoglie in tre mesi 800mila firme autenticate da un pubblico ufficiale, significa permettere i referendum esclusivamente ai grandi partiti che dispongono sul territorio di un esercito di consiglieri comunali. I comitati di cittadini così come i movimenti di minoranza, privi di apparati parastatali, non avrebbero chance. Un istituto di democrazia diretta nato per garantire ai cittadini il diritto di abrogare le leggi votate dal parlamento, è stato così trasformato in uno strumento riservato per lo più ai gruppi di maggioranza che proprio quelle leggi hanno approvato.

Più che un paradosso è un grave vulnus al principio democratico e di uguaglianza. Si tratta, in realtà, dell’ultimo atto di un sabotaggio antireferendario che prosegue da settant’anni, rispetto al quale lo stato italiano dovrà rispondere, su nostra denuncia, nel giudizio dinanzi al Comitato diritti umani dell’Onu per violazione del patto internazionale sui diritti civili e politici.

Il ricorso, presentato nello scorso mese di luglio con l’assistenza del professor Cesare Romano e della Loyola Law School di Los Angeles, trae origine da quanto accadde nel 2013, in occasione dei referendum promossi da Radicali italiani, tra cui l’abolizione del reato di clandestinità e la depenalizzazione per le violazioni di lieve entità della legge sugli stupefacenti.

La nostra campagna non raggiunse le 500mila firme, oltre che per il mancato impegno dei partiti della sinistra ufficiale, a causa di procedure restrittive e omissioni delle istituzioni, dall’assenza di autenticatori ai Comuni chiusi per ferie passando per la mancata informazione. Entro aprile il governo italiano dovrà presentare le sue difese all’Onu, sia rispetto alle condotte di allora che alle leggi che ostacolano il diritto a promuovere referendum, già in vigore e in corso di approvazione.

Se la politica, le istituzioni hanno perso autorevolezza è anche per come hanno trattato l’istituto referendario. Su 197 richieste di referendum nazionali presentate, il 66% non è nemmeno arrivato al voto, negli altri casi sono stati il quorum o il parlamento a vanificare la volontà di decine di milioni di italiani. Discorso analogo le leggi di iniziativa popolare, per le quali la riforma Boschi triplica il numero di firme necessarie nonostante dal 1979 solo l’1,15% di quelle depositate sia stata poi approvata dal parlamento.
Il rischio per la credibilità dell’intero sistema è alto: se si impedisce ai cittadini di partecipare alla vita politica con la democrazia diretta, si convinceranno che anche la democrazia rappresentativa non serva a nulla. La modifica costituzionale, purtroppo, non inverte la rotta ma produce effetti antidemocratici. In parte superabili, ad esempio rimuovendo gli ostacoli che rendono la raccolta di 800mila firme – e quindi l’accesso al quorum ridotto – un’impresa impossibile ai più. Basterebbe una legge ordinaria che superi le disposizioni vessatorie e irragionevoli della legge del 1970.

Dopo quarant’anni, è arrivato il momento di un intervento organico che, sul modello di Svizzera e California, garantisca l’informazione e semplifichi le procedure, consentendo di firmare online e ampliando la platea degli autenticatori. Occorre un Referendum Act, subito, per restituire ai cittadini un diritto fondamentale da troppo tempo compromesso.

In caso contrario sarà l’Onu, nel condannare lo stato italiano, a imporre quei rimedi complessivi necessari per rientrare all’interno degli standard democratici internazionali. Il 23 e 24 gennaio a Napoli, nell’ambito degli Stati generali delle città e del federalismo, ci incontreremo con tutti coloro che vorranno partecipare alla stesura del Referendum Act e alla campagna per la sua approvazione.

Articolo uscito il 15 gennaio 2016 su Il Manifesto, a firma di Riccardo Magi e Mario Staderini

* Gli autori sono rispettivamente: Segretario di Radicali italiani e Autore del ricorso all’Onu contro lo Stato italiano

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