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Non mi astengo e voterò No a una riforma statalista, partitocentrica, antireferendaria e antiecologista

Non mi astengo e voterò No a una riforma statalista, partitocentrica, antireferendaria e antiecologista

 

Di fronte a un plebiscito, verrebbe da restarne fuori: perché andare a votare, legittimando quello che sarà tutto fuorché un esercizio di vera democrazia? In questi mesi abbiamo provato a “spacchettare” il quesito, in modo che fossimo tutti liberi di votare a favore o contro a ciascuno dei principali aspetti della riforma. Niente da fare, la macchina del plebiscito oramai era avviata, con i giudici italiani che pur di non decidere han detto di rivolgerci all’estero per avere giustizia.

Il 4 dicembre tutti alle terme, dunque? Ahimè, non è possibile.

Quando è in gioco la modifica del 35% degli articoli della Costituzione, anche di fronte a un voto di regime occorre fare una scelta. E la mia sarà di andare a votare, e votare NO.

No ad una riscrittura della Costituzione che complessivamente giudico statalista, partitocentrica, discriminante, antireferendaria e antiecologista.

Dopo averla studiata, sono convinto che l’effetto principale della riforma Renzi-Boschi sia una riduzione della rappresentanza democratica nell’asserito tentativo di aumentare l’efficienza di governo. In pratica, siccome le elezioni sono diventate un ostacolo all’efficienza nel prendere le decisioni, anziché ripensarle se ne riducono gli spazi (via il diritto di voto dei cittadini dal Senato, via quello per le Città metropolitane, aumento della centralità dei partiti nelle elezioni delle istituzioni, controriforma dell’istituto referendario sabotato da settant’anni anni). Un errore madornale, visto che le democrazie oggi sono in crisi anche perché è entrato in crisi il sistema della rappresentanza, ovvero di quell’aspetto essenziale di una democrazia per cui il popolo si riconosce nell’autorità di governo.

Grazie alla riforma, ad un partito –o, se sarà rivisto l’Italicum, a una coalizione partitica- sarà possibile far approvare leggi in sessanta giorni senza che ci sia un vero contropotere, neanche quello dei cittadini a cui i referendum rimangono di fatto proibiti. Quelle leggi statali potranno imporre politiche e infrastrutture invasive a territori cui non è stata riconosciuta alcun diversa possibilità per partecipare democraticamente a quelle scelte.

Anche volendo ritenere giusto –e non lo ritengo- un sacrificio della rappresentanza democratica per l’efficienza di governo, pensiamo davvero che gli attori giusti a cui affidare tutto ciò siano uno Stato centrale dominante e il sistema dei partiti, seppur al tempo dei leader?

Io penso di no, che sia invece il modo migliore per aggravare le cause che ci hanno portato in questa situazione.

Se devo cambiare, lo voglio fare per un sistema davvero federalista che responsabilizzi cittadini e governanti, che metta al centro la persona –eletto ed elettore- anziché i partiti. Nella stessa strada riformatrice, cioè, tracciata dai referendum radicali del 1993, quelli sì plebiscitati, che abolivano il finanziamento dei partiti e introducevano un sistema elettorale basato sul collegio uninominale maggioritario. Una strada che il Si al referendum costituzionale invertirebbe definitivamente, con il ritorno al proporzionale che si è già realizzato, prima con il Porcellum e ora con l’Italicum.

Per quanto pasticciata e scritta male, questa riforma costituzionale ha quindi una sua portata storica ben precisa, che è l’opposto della direzione per cui ho lottato in questi anni e che spero, quando il tempo sarà maturo, si realizzi.

Conosco i limiti di questa Costituzione ma, avendo compreso l’impianto che avrà la nuova, me la tengo in attesa di modificarla quando sarà un passo in avanti per tutti, non perché “è meglio cambiare in qualsiasi modo che stare fermi”.

DOMANDE FREQUENTI

Perché il nuovo Senato non mi piace? Non è federalista, toglie il voto ai cittadini per darlo ai partiti, è iniquo nella ripartizione dei seggi tra le regioni, le sue competenze sono cervellotiche. In pratica, è dannoso e sarà difficilissimo modificarlo.

Perché le modifiche relative agli istituti di democrazia diretta non vanno bene? Sono in realtà una controriforma, che non rimuove gli ostacoli che hanno permesso sino ad oggi di sabotare il referendum abrogativo e le leggi di iniziativa popolare, ma rende il sistema ancora più discriminatorio in favore dei grandi partiti e delle organizzazioni sindacali. Quanto al di più che servirebbe, c’è solo l’annuncio del referendum propositivo, visto che servirà una nuova legge costituzionale.

Perché non ti piace la modifica del Titolo V, ovvero del rapporto tra Stato e Regioni? Perché l’effetto principale sarà quello di creare una frattura tra decisioni prese a livello di Stato centrale e coinvolgimento dei territori. In questo modo aumentano le probabilità di programmare opere non utili o dannose per le comunità, più soggette a corruzione, mentre si riduce la legittimità delle decisioni. Se le Regioni non sono il luogo giusto per il confronto del governo nazionale con le comunità locali, individuare un altro strumento di partecipazione sarebbe stato necessario. Ad esempio, in Germania le scelte sull’Alta Velocità stanno iniziando ad essere sottoposte a referendum così come in molti stati, anche negli Usa, si sta diffondendo la pratica di sottoporre a vaglio popolare le grandi opere. Con la riforma che voteremo il 4 dicembre, invece, si è ripetuto il solito meccanismo: se qualcosa crea un problema, anziché ripensarla la eliminiamo. In maniera scientifica, visto che nell’aver introdotto la possibilità di avere un quorum leggermente inferiore per chi raccoglie 800 mila firme, si sono esclusi tra i possibili promotori i cinque consigli regionali, ipotesi invece prevista per il referendum di serie B con il quorum insormontabile. Per la cronaca, il referendum sulle trivellazioni del 17 aprile 2016, che non ha superato il quorum, è stato promosso dai consigli regionali.

Perché non voti in base a chi appoggia il Si e il No, oppure in funzione di chi potrà essere il prossimo capo del Governo? Perché non c’è peggior modo di partecipare a un plebiscito che piegandosi alle sue logiche. Si cambia la Costituzione, una cosa troppo importante e duratura per votare inseguendo le urgenze o le paranoie del momento.

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© Mario Staderini by [zu']

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